lunedì 5 maggio 2014

INTERVISTA A MASSIMILIANO COLOMBO

Salve lettori, oggi voglio presentarvi uno scrittore eccezionale. Trattasi di Massimiliano Colombo, di cui vi ho già parlato qualche settimana fa, avendo postato la recensione al suo primo romanzo, La legione degli immortali. Conosciamolo meglio.



BIANCANEVE (B): Buongiorno Massimiliano, grazie per aver accettato di farti intervistare e benvenuto nel mio blog. Leggendo la tua biografia sul tuo sito ufficiale (http://www.massimilianocolombo.eu/) si scopre che hai fatto parte della Brigata Folgore – 2° Btg. Paracadutisti Tarquinia. Ci parli di questa esperienza?
MASSIMILIANO COLOMBO (MC): Durante la visita militare, in un distretto dove si aggiravano uomini in divisa dalle spalle ricurve e abbruttiti dalla noia, ho visto un  sottufficiale che camminava a testa alta, lo sguardo fiero, i modi decisi. Portava un basco amaranto, era un reclutatore della Folgore.
Contrariamente al pensiero dei più, di cercare incarichi comodi e poco lontani da casa, dopo aver visto quel paracadutista io firmai come volontario per scegliere la strada più difficile che si potesse prendere. Volevo mettermi alla prova, volevo quel basco.
Il destino ci mise del suo, fui accettato, quindi arruolato alla Scuola Militare di Paracadutismo e successivamente destinato ai reparti operativi con l’incarico di comandante di squadra di fucilieri paracadutisti.
Quella decisione mi ha reso fiero per tutta la vita. Aver fatto parte dei fucilieri della Folgore, meglio conosciuti come “assaltatori” e aver superato gli addestramenti, i lanci e le pattuglie non è stata un’esperienza facile da affrontare ed è qualcosa che non si può dimenticare. È qualcosa che ti rimane dentro per sempre. Tutt'ora, di fronte a momenti difficili, ricordo a me stesso di essere stato un fuciliere della Folgore.

B: Il tuo incontro con la storia risale a molto prima di imbatterti nella versione estesa del De Bello Gallico di Cesare, da cui ha avuto origine il tuo primo romanzo, L’Aquilifero, poi rivisto e pubblicato come La legione degli immortali. Ricordi come è nata questa passione? Puoi raccontarci un aneddoto?
MC: Se torno indietro a pensare ai miei giochi di bambino, mi rivedo con i soldatini romani ad affrontare battaglie e assedi. Da sempre ho amato i legionari, da sempre ho subito il loro fascino. Non so perché, non c’è una spiegazione, è qualcosa che porto nei miei geni.
A dieci anni ho chiesto ai miei genitori di portarmi a Roma a vedere il Colosseo e la tomba di Cesare. Ricordo che rimasi deluso da quel piccolo ammasso di mattoni e terra, ma, allo stesso tempo, fui affascinato dai fiori e dai biglietti che la gente vi deponeva sopra.
Trentacinque anni dopo sono tornato su quella tomba a lasciare il mio libro in suo onore.

B: Tu pubblichi con una casa editrice importante. Qual è stato il tuo iter?
MC: Ci vorrebbero pagine solo per rispondere a questa domanda. Io ho cominciato a scrivere per puro caso. Ero estraneo al mondo editoriale, ma sentivo di aver fatto un lavoro che meritava la pubblicazione. Cavalcando l’onda dell’entusiasmo, ho cominciato a spedire copie alle case editrici, ma poi, con il passare del tempo e senza ricevere alcuna risposta, ho cominciato a perdere fiducia. Ebbi il primo contatto con un piccolo editore un anno più tardi e sentii finalmente di essere vicino alla meta, fino a quando questi non mi chiese seimila euro per la stampa di duecento copie. Lì capii che tutti potevano pubblicare un libro pagando, indipendentemente dalla qualità dello scritto.
Passarono altri sei mesi prima che mi imbattessi in modo del tutto casuale nel sito web di una casa editrice specializzata in opere prime e decisi di mandare una copia del racconto. Venni contattato nel giro di pochi giorni e mi fu spedito un programma di massima presentato egregiamente. Proponevano una tiratura di duemila copie da distribuire su duecento librerie sparse sul territorio nazionale. La strategia c’era o, per lo meno, era ben presentata, ma l’intera spesa sarebbe stata totalmente a mio carico, che in questo caso triplicava rispetto a quella prima e assurda richiesta nel sottoscala.
Fu quello il momento in cui dissi a me stesso che forse era meglio abbandonare l’idea di scrivere un libro. Non era proprio il caso di affrontare una simile spesa per pubblicare una storia che forse, non avrebbe mai interessato nessuno e, proprio nel giorno in cui decisi di abbandonare, venni contattato dal mio direttore generale che aveva letto il mio libro rimanendone affascinato e, dopo aver sentito la mia storia, aveva deciso di sponsorizzarne la pubblicazione.
Ci vollero altri quattro anni perché una di queste copie finisse nelle mani di un grande editore che ne volle acquisire i diritti per ripubblicarla con un nuovo titolo e un nuovo editing. In tutto quel tempo io non ho mai smesso di scrivere e di crederci.

B: Nei tuoi romanzi ambientazione ricorrente è la Britannia barbara e romana. Un’ambientazione particolare, soprattutto tenendo conto che non ti occupi del ciclo di Artù (come fa invece Jack Whyte con le sue Cronache di Camelot). Come mai questa scelta?
MC: Sono affascinato dal mondo celtico e dall'Inghilterra in genere. Inoltre dobbiamo pensare che ai tempi del primo sbarco di Cesare, la Britannia era per i romani una sorta di pianeta misterioso, remoto e inesplorato, un’isola nascosta dalle nebbie, dove si vociferava di grandi ricchezze ma anche di arti magiche oscure e di nemici terribili. Aver oltrepassato quel braccio di mare è stata un’impresa epica, che noi del terzo millennio possiamo solo lontanamente immaginare.
Dopo i due sbarchi di Cesare, la Britannia è tornata a essere qualcosa di isolato dal mondo romano. Selvaggia, esotica, pericolosa. L’Imperatore Claudio nel secolo successivo ha di nuovo portato le legioni sull'isola, cosa che ha portato all'incontro – scontro di due civiltà agli antipodi. Ciò poi – a mio parere – ha dato origine a qualcosa di grande. Le locali popolazioni celtiche si romanizzarono, nell'attuale Inghilterra, in poche generazioni e, a pacificazione avvenuta, la Britannia divenne un'area dell'Impero romano relativamente felice e sviluppata.

B: In Draco, l’ombra dell’imperatore abbandoni l’epoca tardorepubblicana e dell’inizio dell’impero e, con un salto temporale notevole, ci ritroviamo nel mondo tardoantico, un mondo spesso sottovalutato dagli storici e, ancor più, dagli scrittori di romanzi storici! C’è un motivo particolare che ti ha spinto a considerare questo periodo?
MC: L’idea iniziale di un romanzo sull'imperatore filosofo è nata proprio per cambiare direzione verso la massa dei romanzieri storici dell’antica Roma che sono ormai da tempo stabilizzati tra la tarda età repubblicana e quella imperiale. Ho provato quindi ad esplorare e proporre sentieri relativamente nuovi perché in realtà ci sarebbero mille anni da raccontare e sono tutti affascinanti. Il Tardo Impero è in affetti poco conosciuto, ma non per questo meno avvincente delle epoche precedenti e l’Augusto Giuliano e i suoi contemporanei si sono rilevati personaggi strepitosi, basti pensare che per esigenze di trama, ho volutamente limitato ad una trentina i personaggi che hanno realmente calcato la scena storica, ma avrei potuto metterne il doppio. Devo dire che però in molti tra i conoscenti, hanno storto il naso quando dicevo loro che stavo scrivendo un libro sul tardo impero, perché appunto considerato un periodo decadente. Gli esperti di storia invece, hanno tutti apprezzato la cosa.

B: Lucio Petrosidio, aquilifero della Decima e poi della Quattordicesima ne Le legione degli immortali è un personaggio indimenticabile. Ma ancor di più – a mio modesto parere – lo è Gaio Emilio Rufo, il primipilo. A me fa venire in mente il grande condottiero greco Leonida. C’è qualche attinenza oppure sono completamente fuori strada?
MC: L’attinenza c’è nello spirito guerriero, se vuoi, ma credo che la fortuna di Gaio Emilio Rufo, che tanto ha riscosso successo ne La Legione degli Immortali, sia dovuta al fatto che è un personaggio ispirato a una persona reale, e quindi l’ho potuto descrivere come meglio potevo, perché io l’ho conosciuto e lo conosco bene. Gaio Emilio Rufo è stato il mio comandante di plotone sotto le armi (con un altro nome, ovviamente!). Vi dico solo che in codice era chiamato “Il Diavolo Nero” e l’ho dipinto con gli stessi tratti decisi che lui davvero possiede. È stato un comandante duro, esigente, puntiglioso, voleva il massimo dai suoi, ma dava il massimo. Pretendeva tanto, ma avrebbe fatto da scudo all'ultimo del plotone, anche se questo lo capivi solo alla fine di un lungo percorso di addestramento.

B: Questa è una domanda che volevo porre da molto tempo a uno scrittore. Come si decide di far morire un personaggio che si è creato? Lo si pensa già sapendo quale sarà la sua fine o lo si decide in corso d’opera?
MC: Quando si individua il momento storico da trasporre in un romanzo, si ha già l’idea di ciò che succederà ai personaggi principali. Sai, molti destini sono davvero stati segnati dagli eventi: non potevo inventarmi, ad esempio, una morte diversa per Lucio Petrosidio e per l’Augusto Flavio Claudio Giuliano perché loro sono davvero trapassati in quel modo. La fantasia dello scrittore è, dunque, molto limitata dal rigore storico, ma vi sono poi personaggi secondari che nascono proprio per esigenze di trame e che poi, in effetti, perdono la loro importanza e potrebbero addirittura distrarre il lettore. In quei casi una morte prematura, creata ad hoc, sistema il tutto. Non ti nascondo che per alcuni è quasi un piacere.

B: I tuoi personaggi – e non parlo naturalmente di quelli storicamente esistiti – sono ispirati alla gente che ti sta intorno o ti basi solo sulle tue ricerche storiche per inventarli?
MC: Non ci sono delle regole precise, ogni personaggio è diverso, ti nasce in testa in un modo: alcuni ben chiari e definiti, altri meno. Ne La Legione degli Immortali, per esempio, buona parte del contubernium di Petrosidio aveva le sembianze e gli accenti dei miei compagni di squadra nell'esercito. Ne Il Vessillo di Porpora abbiamo un mix strepitoso dell’antipatico Cato Deciano, che è un personaggio storico che ha commesso delle nefandezze, ma del quale non abbiamo alcun resoconto del suo aspetto fisico. Ho quindi preso un conoscente molto antipatico e l’ho associato e lui nei modi di fare e nella fisionomia. Attenzione quindi a non fare gli antipatici con me, se non volete rischiare di finire nel prossimo libro disarmati contro qualche nerboruto gladiatore.

B: Sempre rimanendo in tema di personaggi, mi incuriosiscono molto i personaggi realmente esistiti. Come si trasporta una figura storica in un personaggio? Come si tratteggia il suo carattere?
MC: Anche in questo caso non c’è una ricetta. Per alcuni la storia è riuscita a tramandarci un’immagine, una statua, una descrizione e anche qualcosa del suo carattere; in questi casi si segue ciò che l’iconografia ci ha tramandato, ma l’immaginazione gioca un ruolo molto importante per quanto riguarda il loro carattere, la voce, i modi di fare. Qui chiaramente mi aiuto con gli esempi di tutti i giorni: un conoscente con la voce profonda o con un particolare tratto somatico.
La cosa strepitosa è che scrivendo ho preso in simpatia o in antipatia i personaggi storici che dovevo descrivere. È un po’ come la prima idea che ti fai di una persona: a volte è quella giusta, a volte no. Ne La Legione degli immortali ero sempre un po’ timoroso di dover fare rapporto nella tenda di Cesare, perché nel mio subconscio è un personaggio severo e autorevole. Ne Il Vessillo di porpora ero ammirato da Svetonio che, al tempo stesso, mi stava molto antipatico, In Draco non vedevo l’ora che Constanzo II morisse, e nel libro su Sertorio ho vissuto una turbolenta convivenza: a inizio libro il generale mi ha molto attratto e affascinato, alla fine non lo reggevo più, guarda caso in linea con ciò che la Storia riporta di lui.

B: Quali sono i tuoi progetti futuri? Possiamo aspettarci un nuovo romanzo? Puoi anticiparci qualcosa?
MC: Sto scrivendo un libro sulla battaglia del Sentino e ne ho pronto un altro sulla campagna di Sertorio in Spagna. Un’idea, questa, che era nel cassetto già prima che cominciassi a scrivere Draco, l’ombra dell’imperatore. Gli scenari e la forte personalità di questo generale, lo rendono una delle figure più controverse e discusse dalla storia di Roma.
Il caso vuole che questa storia sia ambientata in Spagna, un paese che tanta soddisfazione mi sta dando con la versione spagnola de La Legione degli Immortali, edita da Ediciones B, che è già arrivata alla sua terza edizione, traguardo che in Italia non è mai stato raggiunto.

Ed è forse questa la chiave di svolta: nonostante la vagonata di idee, forse la cosa migliore è quella di puntare all'estero, perché, purtroppo, in Italia la nostra Storia interessa davvero poco. E pensare a quanto siamo stati grandi!

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